Diventare un quartetto d’archi

Avere sempre le stesse emozioni, una vita con le stesse emozioni, il tutto aggravato dal fatto che tu sei A, e ti vedi con B, anche lui più o meno le stesse emozioni, mai le emozioni per esempio di un leopardo che dorme o di una cinciallegra che svolazza, e comunque c’ho pensato tante volte, se uno non fosse stato infognato in sto cesso di corpo, diventare un quartetto d’archi, che puoi saltare da qui a lì in un attimo, avere delle emozioni così, anche un po’ di dodecafonico, quel requiem di Ligeti, un’ora sei quel requiem, l’ora dopo sei il concerto per mandolino di Vivaldi, emozioni che non c’entrano un cazzo l’una con l’altra, anche formate in modo un po’ diverso, ma non ascoltare, essere, diventare, cambi tempo, cambi orizzonte, che in analogia con la musica, là, sonatina in Fa minore, una cosina triste (si fa per dire, lo so che magari c’è qualche pezzo in Fa minore che fa quasi ridere, o che ti viene voglia di spaccarti tutta la casa a colpi di mazza per la contentezza); comunque io, cinquant’anni con le stesse emozioni
cinquant’anni con le stesse emozioni? Uno non sa neanche cosa vuol dire seriamente questa frase.
Però: utopia di riuscire a inventare queste emozioni dodecafoniche. Emozioni-Webern: strani silenzioni con dei rumorini dentro che non si sa cosa dire, io domani, passeggiare, passeggiare non so dove alla ricerca di Emozioni-Webern, non so neanche cosa siano ma ci provo.

Ugo Cornia, Buchi, Feltrinelli, 2016, pagg.46-47.

 

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