Tutt’a un tratto mi fermai, fui incapace di muovermi, come succede quando una visione non si indirizza solo al nostro sguardo ma sollecita percezioni più profonde e s’impadronisce del nostro essere nella sua interezza. Una ragazzina d’un biondo rossiccio, che aveva l’aria di tornare da una passeggiata e reggeva in mano una vanga da giardiniere, ci guardava alzando il suo viso cosparso di efelidi rosa. I suoi occhi neri brillavano, e poiché allora non sapevo, né l’ho imparato in seguito, ridurre ai puri elementi oggettivi una forte impressione, non avendo abbastanza di quel che si definisce “spirito d’osservazione” per isolare la nozione del loro colore, per molto tempo, ogni volta che ripensavo a lei, il ricordo del loro sfavillio mi si presentò senz’altro come quello di un vivido azzurro, dal momento che i suoi capelli erano biondi: al punto che, forse, se non avesse avuto degli occhi così neri – ciò che colpiva tanto chi la vedeva per la prima volta – non mi sarei più particolarmente innamorato, come mi innamorai, di quei suoi occhi azzurri.
Marcel Proust, Dalla parte di Swann, Mondadori, 1987, pagg. 171-72, traduzione di Giovanni Raboni.