Dimmi cos’è il glicine, nonno, che l’hai piantato arrembato al muro di questa casa di miseria, questa casa fatta di mattoni scartati dagli altri, di cemento messo via a sacchi con i soldi messi via a cento lire, a cinquanta, questa casa che hai messo su una stanza dopo l’altra, un matrimonio dopo l’altro, una nascita dopo l’altra, generazione dopo generazione di questa nostra famiglia che, dopotutto, non è ancora venuta giù, come la casa, che doveva venir giù da un pezzo stando alle leggi della statica e della dinamica, al calcolo dei cementi e alla ragion pratica. Dimmi cos’è il glicine, nonno, forse il pilastro di miseria che ti sei ingegnato a mettere a sostegno della casa e della famiglia dentro la casa? A me sembra un miracolo ‘sto glicine, nonno, ma mi sembra un po’ tutto un miracolo quello che ancora vive di noi. Mi sembra una pioggia miracolosa, un venir giù della manna nel deserto. Adesso che è fiorito d’un botto, mi sembra come se avessimo pregato abbastanza e il nostro antico Dio ce l’avesse regalato a fiotti, a cataratte, da non potersene riparare, per dissetarci e per nutrirci di miracoli in questo mese di aprile, che è il più crudele dell’anno. Mia zia la Cesarina ne prenderà un po’ di questi suoi fiori di pioggia, prenderà i grappoli più gonfi, e li metterà nella pastella di acqua e farina e li friggerà. Capisci anche te che quando ce li spartiremo con un bicchiere di vino a testa, sarà come una comunione. Friggete e mangiate in memoria di me, è questo che volevi dire?
Maurizio Maggiani, La zecca e la rosa: Vivario di un naturalista domestico, Feltrinelli, 2017, pag.
stupenda (come spesso) questa pagina di Maggiani, da un libro che non conoscevo
grazie,
ml
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