Ricorreva ieri il trentennale della morte di Luigi Ghirri, fotografo ed innovatore tra i più grandi.
Riporto qui un estratto dal “Ricordo di Luigi, fotografia e amicizia” di Gianni Celati, (scomparso poco più di un mese fa). Il testo di Celati chiudeva un libro che non mi stanco mai di consigliare, e che raccoglie una serie di lezioni rivolte a giovani studenti, che Ghirri tenne tra il 1989 e il 1990 a Reggio Emilia.
Fotografava cose a cui nessuno bada. Fotografava le strade che percorreva per andare al lavoro. Oppure fotografava quello che aveva in casa, i propri libri, gli atlanti, le cose più a portata di mano. Per lui la foto doveva ridare dignità alle cose… doveva sottrarle agli schemi, ai giudizi sbrigativi di chi non guarda mai niente. Fin dalle prime mostre, comincia a scrivere le presentazioni dei propri cataloghi. E qui viene fuori un altro aspetto di questo strano uomo…cioè un uomo normale, ma pensante… Ben pochi fotografi e artisti hanno avuto una così spiccata tendenza a pensare e ripensare tutto. Pochi si sono lanciati in una così ardita riflessione teorica… Questo l’ha portato a riformulare tutto il senso, l’uso e le funzione della fotografia. Ghirri parlava d’un modo di abitare il mondo diverso da quello urbano. Il mondo urbano è frettoloso, disattento alle cose… Le sue prime fotografie erano sorprendenti perché mostravano un’attenzione alle cose che è quella di un abitante delle campagne. Ritagli di cieli, oleografie casalinghe, altri oggetti senza importanza… ma in quello foto spuntava un modo di guardare che era, per noi e per molti, una rivelazione.
Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, Quodlibet Compagnia Extra, 2010, pag. 252